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Infermieri in trincea nella sanità privata: "ora scioperiamo"

Mattina, mattina, pomeriggio, notte. Smontante, riposo. E si ricomincia. Il calendario dei turni della settimana: Gabriele controlla sul telefono quelli della prossima. Ha 41 anni è sposato, ha una figlia, lavora da dieci come infermiere professionale presso una clinica privata convenzionata, in provincia di Roma.

Una delle tante RSA (residenze sanitarie assistenziali) che ospitano anziani, spesso non autosufficienti, spesso costretti a lunghi percorsi di riabilitazione a causa di malattie o traumi fortemente invalidanti. Gabriele ha scelto questo lavoro. Ci mette entusiasmo e dedizione, soprattutto quando serve un surplus di volontà. Quando i pazienti in carico sono in eccesso e difficili da gestire. Quando le risorse economiche e umane vengono limitate. Quando la dose di cure e attenzione necessarie rischia di essere drasticamente ridotta.

E questo è il momento. “Adesso ce ne vuole proprio tanta di buona volontà, perché come puoi riuscire a mantenere lo stesso impegno, lo stesso entusiasmo nel lavoro, quando ti vedi togliere tutto quanto hai guadagnato negli anni. Con fatica. Come fai?”.

Nelle prossime settimane a Gabriele e ai suoi colleghi verrà applicato un nuovo contratto di lavoro “fortemente penalizzante, innanzitutto perché riduce drasticamente il salario dei lavoratori, di circa il 30 per cento, poi perché taglia ferie e indennità”.

È la prima volta che si arriva a questo punto: “Pur restando consapevole dei tuoi doveri professionali, del lavoro di cura che ci spetta, pur cercando di continuare a prestare al meglio il nostro servizio, come fai – chiede Gabriele – a non restare deluso, a non perdere la voglia di fare sempre meglio e di più. Di questo le proprietà non tengono conto, possibile? Possibile che si possa penalizzare così un comparto di lavoro, che si fonda sulla cura della salute, sulla assistenza alle persone? Possibile che si possa applicare un contratto senza la firma delle maggiori sigle sindacali?”.

Sì, tutto possibile. Anzi inevitabile, sembra, al tempo della crisi. “In questo periodo c’è molta difficoltà a trattare con le aziende in posizione di forza – racconta Aldo Capobianchi, segretario Cgil per il comparto sanità Roma Est e Valle Dell’Aniene – perché, per prima cosa, le persone cercano di non perdere il lavoro. Le aziende lo sanno e provano a imporre le loro decisioni.

Nella sanità privata ci sono più di dieci tipi di contratto, tutti al massimo ribasso. C’è poi un altro problema: la mancanza di una legge sulla rappresentanza sindacale che stabilisca chi può firmare un contratto, affinché questo possa essere ritenuto valido.

A oggi chiunque decide di fare un sindacato può firmare un accordo e vincolare così tutti i lavoratori. È quello che è successo, ad esempio, nel caso del contratto siglato con l’Aiop (Associazione italiana ospedalità privata), alcune strutture lo stanno già applicando e altre lo faranno a breve; è stato stracciato il contratto nazionale precedente e ne è stato fatto uno nuovo che prevede il taglio dei salari, delle ferie e delle indennità.

Non è stato firmato né da noi della Cgil, né da Cisl e Uil, eppure sono bastate le firme di altre piccole sigle sindacali disposte all’accordo per far valere il contratto. Diverso invece il caso dell’Aris, l’Associazione religiosa istituti socio sanitari, – spiega ancora Capobianchi – dove a non aver firmato l’accordo che prevede un aumento dell’orario di lavoro e una riduzione dei diritti, ma non dei salari, è stata solo la Cgil”.

E proprio il sindacato guidato da Susanna Camusso ha organizzato, contro tali contratti, uno sciopero nazionale di otto ore il 12 dicembre. Il giorno prima tutta la sanità privata si è data invece appuntamento davanti alla Regione Lazio per protestare contro i tagli della spending review.

“Questa però è un’altra storia – commenta Capobianchi – non ha a che vedere con i nuovi contratti, ma certo ha un forte impatto perché il taglio dei fondi alle strutture determina messa in mobilità e licenziamenti”. Due fronti dunque: da una parte quello comune con le aziende contro i tagli; dall’altra quello contrapposto sui rinnovi contrattuali. Una situazione complessa e, dati i numeri interessati, molto delicata.

“Oltre al Lazio, anche in molte strutture della Campania, della Lombardia, e della Liguria la condizione è decisamente critica. Ma sono ottimista – dice il sindacalista – e spero che attraverso una trattativa si arrivi a una revisione delle condizioni contrattuali, soprattutto per quel che riguarda i livelli salariali”.

Gabriele ha già deciso; qualunque sia il turno, mattina, pomeriggio o notte, sciopera. “Non ci resta che questo, anche se poi a pagarne le conseguenze sono soprattutto i pazienti. Però i padroni devono capire, devono rispettare i contratti nazionali e rispettare i lavoratori, senza cercare manovalanza a basso costo. Per tutti i lavori dovrebbe essere così, a cominciare dal mio”.

Di Tullia Fabiani

Fonte: corriere della sera

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