Eppure mancano 60 mila infermieri. Una professione utile e maltrattata
Il paradosso è stridente: in Italia mancano almeno 60mila infermieri, ma gli ospedali sono bloccati, mentre cresce la libera professione. E intanto diverse migliaia di infermieri sono a spasso, disoccupati. Quella dell’infermiere è una professione ritenuta ad elevata utilità sociale, ma maltrattata sotto diversi punti di vista: faticosa, sottopagata, per niente garantita. Crescono i pazienti, soprattutto di età avanzata, si moltiplicano i turni, e all’orizzonte compaiono le cooperative, che spesso peggiorano le condizioni di lavoro degli operatori. Bisognerebbe puntare di più su questa professione, che a questo punto ricorre allo sciopera, per sottolineare la drammaticità di una professione che si merita di meglio
Per gli infermieri la data più importante è il 12 maggio, il giorno in cui nel lontano 1820 nacque Florence Nightingale, la fondatrice delle scienze infermieristiche moderne. L’International Council of Nurses (che rappresenta più di 13 milioni di infermieri nel mondo) ricorda questa data celebrando in tutto il mondo la Giornata internazionale dell’infermiere. Lo scorso maggio in Italia la festa è stata mesta, perché la professione sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia, schiacciata tra turni massacranti, blocco del turn over, bassi stipendi. Eppure, l’allarme lanciato dalla Federazione dei collegi Ipasvi, l’organizzazione di rappresentanza, è chiaro: in Italia mancano 60mila infermieri. Sembra passato un secolo da quando nel 1971 venne approvata la legge 124, che sancisce l’estensione al personale maschile dell’esercizio della professione di infermiere professionale. Fu una vera rivoluzione. La professione era stata fino a quel momento esclusivo appannaggio delle donne: una santa per proteggerle, la matrona Fabiola, che si dedicava all’assistenza nell’antica Roma; una donna come modello, Florence Nightingale, e tante altre donne negli ospedali, nelle zone più difficili del paese, nell’assistenza all’infanzia. Il lavoro infermieristico nasce con un vizio genetico: era considerato ausiliario e vocazionale, adatto alle donne e alle religiose, per molti anni la maggioranza assoluta del corpo infermieristico. Ancora oggi le donne rappresentano il 78% di tutti gli infermieri. Eppure, come rivelano alcuni dati Ocse, in Italia ce ne sono meno rispetto agli altri paesi: 6,6 infermieri ogni mille abitanti, contro l’8,4% della media europea, i 9 della Francia e del Regno Unito, gli 11,5 della Germania, il 17,4% della Svizzera, il paese più dotato. Non solo. In Italia sono pochi anche rispetto ai medici: ci sono 1,6 infermieri per medico contro i 2,8 della media Ocse e i 4,5 del Giappone. Ciò che stride è il divario tra fabbisogni e laureati. Nell’anno accademico 2013/2014, sono attive 221 sedi di corso di laurea in infermieristica, che fanno capo a 42 facoltà di medicina, per un totale di 15.970 posti disponibili. Un vuoto da colmare. Le ragioni sono tante. “Siamo sotto la media europea ma il sistema sanitario pubblico da tempo non assume - spiegava Annalisa Silvestro, presidente Ipasvi - Crescono i malati ma c’è il blocco del turn over e dei contratti da anni. Negli ospedali il lavoro aumenta, l’età media si alza e non c’è ricambio. Le alternative sono l’espatrio e la libera professione. Dobbiamo superare il blocco e dare una possibilità di ingresso ai più giovani”. La libera professione viene definita una nuova opportunità da esplorare per il 66,6% dei 2.500 infermieri che hanno partecipato a un sondaggio Ipasvi e non è tanto una necessità legata alla difficile congiuntura economica (26,9%). Non interessa solo al 6,5%. Le priorità per il futuro sono la valorizzazione delle carriere clinico-assistenziali (30,5%), l’incremento degli organici (24,9%), il riconoscimento del ruolo manageriale (12,0%) e il maggior peso decisionale (32,6%). Ma forse la madre di tutte le critiche è la questione salariale: non si può chiedere a dei laureati di lavorare sotto organico, con turnazioni selvagge, festività comprese, a contatto con dolore e sofferenza, per 1.300 euro al mese.
Di Walter PASSERINI
Fonte: lastampa.it
E il problema continua, con il blocco nelle aziende pubbliche, e dall'altra parte l'assunzione di soli raccomandati nelle aziende private, che non si sono mai distinti nel percorso di studi e tirocinio. Dopo ci si meraviglia se la sanità va a rotoli.
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