Omissione di soccorso: condannati infermiere e medico di turno
Infermiere e medico colpevoli del
decesso
Il Tribunale di
Ferrara condanna gli imputati e fissa una provvisionale complessiva di 95.000
euro.
La storia riguarda un
caso di malasanità dove i medici hanno concorso a cagionare il decesso di WW,
ricoverata presso il reparto di medicina interna dell’Ospedale del Delta,
determinato da infarto miocardico acuto.
In particolare XX,
infermiera di turno tra le ore 20,00 e le ore 07,00 del 19/20 agosto 2008,
ometteva di allertare il medico di turno sulle condizioni di salute della
paziente WW somministrandole al contrario di sua iniziativa e senza alcuna
prescrizione medica specifica un farmaco gastroprotettore; JJ, medico in
servizio nel turno 14,00/20,00 del 19 agosto 2008 e YY medico in servizio nel
turno 20,00/07,00 del 19/20 agosto 2008, omettevano di prendere visione
dell’elettrocardiogramma effettuato alle ore 17,28 sulla paziente WW, il cui
esame avrebbe consistito di rilevare un infarto del miocardio in atto e
predispone le terapie necessarie ed evitare il decesso.
Il decesso dal punto di vista del perito
Ai fini di una chiara
comprensione sia dei fatti di causa sia delle ragioni della decisione (scopo
questo della motivazione) appare opportuna una argomentazione schematica che si
articoli per punti seguendo l’ordine logico delle questioni da affrontare e
dando conto delle risultanze istruttorie.
1) La istruttoria
espletata ed in particolar modo l’esame dei periti del PM, medico legale e
specialista cardiologo, hanno consentito di acclarare con certezza le cause
della morte della WW: la donna è deceduta a causa di un arresto cardiaco, a sua
volta causato un episodio infartuale assolutamente non diagnosticato e non
curato. L’infarto che aveva colpito la WW, e che era sicuramente in corso nel
pomeriggio del 19 agosto quando venne effettuato l’ECG, era di tale natura, per
la parte del cuore che aveva attinto, da potere ragionevolmente ritenere (vedi
test. perito cardiologo) che se tempestivamente curato, ovvero entro le 12 ore
dall’ECG, sarebbe stato agevolmente superato dalla paziente.
Il perito arriva
addirittura a sostenere che anche una mera osservazione della paziente, con
adeguata somministrazione di farmaci, senza intervento di angioplastica,
avrebbe neutralizzato le conseguenze dell’infarto, che non aveva fortunatamente
colpito zone importanti dell’organo cardiaco.
Malauguratamente alla
paziente non venne diagnosticato l’infarto e di conseguenza nessuna cura le
venne somministrata, in alcun momento: ella quindi morì, verosimilmente nella
notte fra il 19 e il 20 agosto, tanto che alle sette del mattino venne trovata
morta dalla donna delle pulizie, e non dal personale sanitario, quando già il
cadavere si presentava marezzato e quindi la morte era sopraggiunta da alcune
ore (v. esame dott. YY).
2) Alcuni infarti (lo
spiegano i due periti sopra citati e anche il teste dott. M., all’epoca
primario del reparto di medicina interna in cui era ricoverata la vittima) si
presentano purtroppo con scarsi e deboli sintomi, a loro volta non univocamente
indice di una patologia cardiaca: la imputata XX, infermiera del turno di notte
del settore dove era ricoverata la WW, conferma che la paziente nel corso della
notte (la XX entra in turno alle 21) chiamava insistentemente e che riferiva
dispnea e dolore allo stomaco; delle continue chiamate danno conferma anche le
testi F. e C.. Tale circostanza trova conferma anche nelle annotazioni del
diario infermieristico (parte della cartella c.d. “integrata”) della stessa XX
dove si dà conto della riferita dispnea e della somministrazione di un
gastroprotettore (presumibilmente per il riferito dolore allo stomaco) e di
ossigeno per dieci minuti.
Deve ritenersi provato
che tali sintomi si siano manifestati nella serata e nella notte, e che invece
non fossero manifesti nel pomeriggio, né al momento del ricovero (h. 16), né al
momento della visita del medico di turno. Di per sé stessi, afferma il perito,
tali sintomi – fatica a respirare e dolore gastrico – in assenza di altri
indici di sofferenza cardiaca non sono indici univoci di una patologia
cardiaca. Alla imputata dr.ssa JJ, medico di turno del pomeriggio che aveva
presieduto al ricovero della WW nel reparto, non può essere quindi rimproverato
di non avere, per effetto della mera visita della paziente, avvertito e notato
la presenza di un infarto in corso.
La colpevolezza dell’infermiere
3) Alla paziente nel
corso della notte venne somministrato dalla XX, infermiera di turno addetta al
settore ove era ricoverata la WW, ossigeno per 10 minuti e un gastroprotettore;
malgrado la XX affermi che tale terapia venne da lei stessa proposta al medico
a fronte delle continue chiamate e lamentele della paziente, non risulta alcuna
prova del fatto che tali medicamenti siano stati prescritti o avallati dal
medico dott. YY, che peraltro ha sempre negato di avere autorizzato, per
iscritto o in via orale, tale somministrazione. Anche se tale circostanza,
ovvero la scelta della XX, può avere altro rilievo, certamente la
somministrazione di ossigeno e gastroprotettore alla WW, che stava avendo un
infarto, non può averle nuociuto, ed anzi non ha avuto alcuna incidenza sul
fenomeno cardiaco in corso.
Sotto tale profilo la
imputazione mossa alla XX è infondata, in quanto nessun apporto causale
rispetto al decesso della paziente hanno apportato i due farmaci somministrati
di iniziativa.
4) L’infarto della WW
era, quantomeno nel pomeriggio del 19 agosto, asintomatico: nulla quindi, come
sopra rilevato, si sarebbe potuto rimproverare alla XX, medico di turno in quel
momento, se non fosse stato espletato un ECG alle h. 17.27 da cui
inequivocabilmente risultava un infarto in corso.
Il tracciato ECG era
presente nella cartella della paziente al momento in cui essa venne esaminata
dal medico legale, ed esso (lo confermano i periti ma anche il dott. M., e la
stessa imputata dr.ssa JJ) attestava chiaramente un infarto in atto: nessun
dubbio sulla possibile interpretazione del tracciato.
5) L’ECG venne
effettuato dalla infermiera B., che aveva proceduto al ricovero della paziente
nel reparto. In corso di testimonianza la infermiera esponeva che non aveva
avuto alcuna prescrizione né scritta né orale da parte di alcun medico in
riferimento all’esame diagnostico de quo; spiegava però che, come accadeva
sovente, aveva effettuato l’ECG di sua iniziativa in ossequio a una routine che
voleva l’esame fosse fatto immediatamente se il medico lo richiedeva oppure in
ogni caso entro le 24 ore dal ricovero; precisava poi che nella maggior parte
dei casi si trattava di esame che veniva prescritto dai medici nel corso del
ricovero (“…comunque prima delle dimissioni un ECG nel reparto ci serve…”) e
che ella lo aveva effettuato nel pomeriggio immediatamente dopo il ricovero
profittando di un momento di tempo e avvantaggiandosi sugli adempimenti che lei
o le sue colleghe avrebbero dovuto espletare successivamente.
Sia in sede di
deposizione testimoniale che in sede di confronto della teste con i testi M. e
G. (per chiarezza e di fronte alla allegazione difensiva JJ, il confronto è
stato disposto per chiarire la prassi esistente in merito agli esami
diagnostici e non già a fronte delle presunte incertezze della teste B.) è
emersa con sufficiente chiarezza la dinamica che ha portato alla effettuazione
dell’esame diagnostico: l’esame non era stato prescritto da alcun medico e
tantomeno dalla dott.ssa JJ; nel caso di pazienti che provenissero dal PS e che
non avessero colà effettuato un ECG il personale infermieristico aveva
istruzioni operative scritte (vedi doc. depositato difesa YY ud. 29.3.2011) di
effettuare un ECG; diversamente se il paziente era stabile e non vi era urgenza
era prassi che tale esame venisse programmato nei giorni seguenti; a
dimostrazione di ciò nella scheda di programmazione degli esami di competenza
infermieristica (foglio 292 affogliazione PM) l’ECG viene indicato come
programmato in data 20 agosto e risulta spuntato come effettuato; il dott. M.,
primario di reparto all’epoca, ha confermato che accadeva e poteva accadere che
la infermiera anticipasse il lavoro programmato per i giorni successivi,
laddove si trovasse in condizioni di farlo ( pag. 106 e ss. trascrizioni del 29
marzo).
6) La audizione del
dott. M., primario del reparto, della caposala Bu., della dott.ssa G., del
dott. Ba., della infermiera Po., tutti in servizio presso il reparto, ha
consentito di acclarare che esistevano direttive scritte vigenti nel reparto
circa gli adempimenti inerenti i ricoveri di pazienti in condizioni stabili
(documento del maggio 2008 prodotto in atti dalla difesa YY); che tali
direttive non erano di immediata applicazione nella ipotesi, come quella de
quo, in cui il paziente provenisse da altro reparto del medesimo ospedale e
fosse stato sottoposto in tempi recenti a ECG (la WW era stata sottoposta a ECG
prima dell’intervento chirurgico); che la ipotesi in commento era del tutto
particolare rispetto alla normalità dei ricoveri in reparto, nella stragrande
maggior parte dei casi provenienti dal PS; che l’ECG effettuato sulla paziente
nel pomeriggio del 19 agosto rispondeva non ad un protocollo medico e
sanitario, ma ad una abitudine delle infermiere di anticipare l’effettuazione
di esami che sapevano sarebbero stati verosimilmente prescritti dai medici.
7) Tale accertamento
consente alcune considerazioni: non si può affermare che i medici avrebbero
dovuto sapere che era stato effettuato ECG, e quindi avrebbero dovuto indagare
circa le sue risultanze, in quanto quella della effettuazione di iniziativa
dell’esame da parte della infermiera non era una condotta assecondata e anzi
sollecitata dai medici.
La condotta della B.
non era quindi una condotta prevedibile come abituale: in altri termini non
esisteva né una istruzione operativa attendibile ed applicabile al caso de quo,
né una prassi consolidata secondo la quale appena ricoverato un paziente gli
venisse effettuato un ECG.
Di conseguenza non è
rimproverabile alla dr.ssa JJ, e successivamente al dott. YY, di non avere
chiesto e ottenuto il tracciato ECG, non potendo affermarsi che loro dovessero
fare affidamento sulla effettuazione dell’esame. È altresì escluso, perché non
risulta dalla cartella clinica e lo ha escluso la stessa teste B., che la
dott.ssa JJ avesse ordinato l’esame.
8) Invero non ci si
può esimere da una osservazione circa la incongruenza di tale condotta, e circa
la insensatezza della tolleranza di tale condotta da parte dei medici (che
hanno affermato di non ignorare che talvolta le infermiere facessero tali esami
in anticipo, per “mettersi avanti” sui tempi) : un esame diagnostico non è un
adempimento burocratico, che deve essere espletato comunque solo al fine di
essere inserito in una qualche carpetta ed a prescindere dal fatto che un
soggetto competente legga le risultanze di tale esame in tempi prossimi alla sua
effettuazione.
Un esame diagnostico
ha un senso se è effettuato a un certo scopo e prescritto da un medico che tali
finalità ha presenti: non si ravvisa la ragionevolezza di un esame ECG
effettuato in un momento qualsiasi, senza prescrizione, sol perché in quel
momento si ha il tempo di farlo e lo si potrà poi esibire al medico quando e se
egli lo prescriverà , magari giorni dopo. Di certa leggerezza è la condotta del
personale infermieristico, e forse ancor più grave quella del personale medico,
cui spetta il dovere di controllare circa la esecuzione di esami diagnostici
che solo ai medici spetta di prescrivere.
9) Resta il fatto che
l’ECG fu espletato e che le sue risultanze erano inequivoche. Se non si può
ritenere che la dott.ssa JJ dovesse sapere che esso era stato effettuato –
sulla scorta della conoscenza di una prassi asseverata -, ancora una volta è
decisiva la testimonianza della B. laddove conferma, a fronte delle ripetute
domande ed anche in sede di confronto, che dopo l’effettuazione dell’esame, e
mentre ragguagliava la dottoressa JJ circa il ricovero appena effettuato, aveva
espressamente richiamato la attenzione della dottoressa circa l’esame
effettuato e la presenza del tracciato sulla scrivania nella guardiola delle
infermiere.
Su tale circostanza la
teste è stata sempre ferma e mai è caduta in contraddizione, nonostante le
ripetute domande rivolte dagli avvocati della difesa, dal PM, e dallo stesso
giudice. Nonostante il prevedibile e comprensibile tentativo della difesa JJ di
screditare la attendibilità della teste B., nessuna circostanza induce questo
giudice a ritenere che la teste, sotto tale profilo, sia inattendibile, anche
perché nessuna responsabilità personale mai le potrebbe essere attribuita
laddove avesse omesso di segnalare la effettuazione dell’EGC al medico proprio
perché tale esame dal medico non venne mai prescritto.
La responsabilitÃ
dell’imputata dr.ssa JJ sussiste, e consiste nell’avere omesso di leggere e
verificare il tracciato di ECG effettuato dalla B. e sul quale quest’ultima le
aveva richiamato la attenzione. E certamente, attese le inequivoche
dichiarazioni rese sul punto dai periti e dal teste M., nonché dalla stessa
imputata dr.ssa JJ, laddove l’ECG fosse stato letto da un medico anche non
specializzato in cardiologia avrebbe consentito di verificare con evidenza la
presenza di un infarto in corso. E la diagnosi avrebbe a sua volta consentito
di adottare una terapia adeguata, fosse essa la osservazione del paziente e
somministrazione di farmaci o la effettuazione di una angioplastica: in ogni
caso una qualsiasi di queste terapie avrebbe consentito alla paziente di
superare l’infarto e di sopravvivere.
10 ) Il ruolo della
infermiera XX: le dichiarazioni della imputata nel corso dell’interrogatorio ne
hanno confermato la penale responsabilità .
La XX, con
dichiarazioni spesso contraddittorie e in taluni tratti quasi non consapevoli
delle intrinseca gravità del loro contenuto, espone di essere entrata in turno
alle h 21,00, di non avere ricevuto alcuna particolare consegna dalla collega
B. che la aveva preceduta, di non avere mai visto prima la paziente che era
stata ricoverata nel pomeriggio.
La XX riferisce di un
comportamento pressante della WW; espone che la paziente la chiamava in
continuazione, lamentandosi di non essere seguita e chiedendo di vedere un
medico, allegando un malessere generico.
Afferma la imputata
che alle h. 22 somministrava alla WW lo stick glicemico e in quel mentre la
paziente lamentava dolore allo stomaco: a questo punto la XX sostiene di avere
avvertito il medico che le diceva di non fare nulla, e poi specifica che invece
era lei stessa a proporre al medico a mo’ di “toccasana” la somministrazione di
un gastroprotettore e che il medico consentiva purché il farmaco fosse ben
diluito nella fleboclisi; poi invece afferma (pag. 47 trascrizioni 29 marzo)
che aveva avvertito il medico solo dell’esito dello stick (senza riferire del
male allo stomaco); e poi ancora che il medico era stato avvertito due volte
delle lamentele della paziente ma che era stata la stessa XX a rassicurarlo
circa le condizioni della WW, dicendogli che il “toccasana” somministrato le
aveva molto giovato.
Lascia francamente
perplessi la esposizione della imputata laddove spiega e sostiene, con
apparente convinzione, che la WW si lamentava molto ma “non era grave; non era
assolutamente grave” (pag. 45 trascrizioni 29 marzo), ed ancora che la WW
voleva solo vedere “l’azione di qualcuno, era solo il suo inconscio allarmato”,
e che il toccasana somministrato su iniziativa della stessa XX le aveva
talmente giovato da farla cadere in un sonno “ristoratore”: in realtà la WW sta
avendo un infarto acuto, e sta – senza mezzi termini – morendo senza alcuna
assistenza o cura, e la imputata non si accorge – o non è in grado di
accorgersi – nemmeno che la paziente, verosimilmente dalle prime ore del
mattino (quando la trovano alle 7 già morta il cadavere è marezzato – come
dichiara il dott. YY -, a chiara indicazione che la morte è sopraggiunta da
qualche tempo), è morta e non sta dormendo (e appunto dalle prime ore della
mattina le chiamate, prima frequentissime, sono cessate: o conferma la teste
F., a pag. 36 delle trascrizioni udienza 10.2.11), pur esponendo di essere
andata più e più volte a vedere come stava e di non essersi avvicinata per
timore di svegliarla dal sonno “ristoratore”.
A trovare la donna
cadavere non è la infermiera XX, astrattamente dotata di certa competenza,
bensì alle 7 del mattino la donna delle pulizie, circostanza questa di certa
gravità e illuminante della trascuratezza con cui la XX assolveva ai suoi
compiti.
A fronte delle domande
del giudice la imputata spiega che spetta alla infermiera, di fronte a una
paziente ansiosa e lamentosa come la WW (la teste C. alla udienza del 10
febbraio aveva riferito che la XX le aveva detto che la paziente si lamentava
per motivi futili e che non c’era niente di cui preoccuparsi), deve effettuare
una sorta di filtro a favore del medico, sottoponendo a quest’ultimo solo i
casi che meritino la sua attenzione: e la XX ha già ampiamente spiegato che a
suo parere la WW stava bene, non era grave, aveva solo un bisogno psicologico
di essere seguita e che la aveva presa come suo “capro espiatorio” (in veritÃ
purtroppo la WW aveva un infarto, stava malissimo e di lì a poco sarebbe
morta).
La responsabilitÃ
della XX sta nella grave negligenza con cui ha sottovalutato i sintomi riferiti
dalla paziente e le sue continue richieste di aiuto, interpretandole come le
solite lamentele di una paziente noiosa e assillante, omettendo di riferire con
esattezza la misura e la intensità delle richieste della paziente al medico –
del tutto inverosimile che un medico, quantomeno per prudenza, alla notizia di
decine e decine di chiamate e di dolore allo stomaco e dispnea di una nuova
paziente non sarebbe accorso -, omettendo di controllare la paziente con
attenzione dopo la somministrazione del farmaco e fraintendendo come sonno
ristoratore quello che verosimilmente era un drammatico stato di agonia.
La imputata ha
certamente sottovalutato, per negligenza e sciatteria, prima ancora che per
imperizia, lo stato della WW, passando sotto silenzio le continue chiamate
della paziente, limitandosi a somministrarle, peraltro di propria iniziativa,
un farmaco placebo, e rassicurando le proprie colleghe F. e C. – che le
chiedevano se aveva bisogno di aiuto circa la paziente che la chiamava sempre –
e dicendo che era tutto sotto controllo e non c’era bisogno di nulla.
11 ) ResponsabilitÃ
del dott. YY. Nessuna risultanza istruttoria fa ritenere che l’imputato
conoscesse o dovesse conoscere la circostanza della effettuazione dell’ECG e
tantomeno le sue risultanze.
Risulta infatti che
l’esame non fosse inserito nella cartella clinica, e forse nemmeno in quella
carpetta (unica per ogni settore del reparto) in cui venivano inseriti gli
esami dopo essere stati vistati dal medico di turno e prima di essere inseriti
nella cartella clinica nel corso della visita medica (anche sulla prassi
relativa alla modalità di conservazione e allegazione dei referti sarebbe forse
opportuna una riflessione da parte degli addetti, specie in considerazione
della sua scarsa efficienza): quindi il dott. YY, anche laddove fosse stato
chiamato dalla infermiera, e dove fosse accorso dalla paziente, non avrebbe
avuto a disposizione il tracciato ECG. Nemmeno era inserito in cartella il
foglio in cui la infermiera B. aveva “spuntato” come effettuato l’esame ECG
programmato per il giorno dopo (vedi dich. M. pag. 114-115 udienza 29 marzo):
in nessun modo quindi il dott. YY poteva sapere che l’esame era stato
effettuato.
Si tratta perciò di
valutare se sia dimostrato che la XX abbia avvertito il medico delle lamentele
ripetute e dei sintomi riferiti dalla paziente e se egli abbia omesso di
recarsi a visitare la paziente.
Tale circostanza, come
sopra evidenziato, non è stata provata.
Mentre il dott. YY
deve essere assolto perché il fatto non sussiste, risulta quindi accertata la
responsabilità della XX e della dr.ssa JJ, con condotte fra di loro
indipendenti ex art. 113 c.p..
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