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Ancora su medici e infermieri. Ma chi l'ha detto che i cambiamenti debbano farsi solo per legge?



Ripubblichiamo per condivisione di contenuti un articolo apparso sul sito QUOTIDIANOSANITA'.IT a cura di Luca BENCI, giurista. Di seguito l'articolo in versione integrale:

Un'analisi dettagliata del documento dell'intersindacale di qualche settimana fa che "stronca" definitivamente la bozza di accordo sulle competenze infermieristiche, rivela qualche inesattezza giuridica e qualche preoccupazione forse eccessiva. Più politica che professionale


28 GEN - L’insieme delle sigle sindacali mediche, riunite nella c.d. “Intersindacale”, ha inviato al ministro Lorenzin, al ministro Del Rio, al presidente delle Conferenza Stato-Regioni e agli assessori regionali alla Salute un documento contenente delle “Osservazioni” sulla bozza di accordo sulle competenze avanzate dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico.
Il documento è di taglio prevalentemente giuridico. In questa sede tenteremo un’attenta esegesi del testo. Il documento si divide in tre parti: a) premessa; b) riferimenti normativi; c) conclusioni.

Concentreremo l’attenzione, in particolare, sui riferimenti normativi, non trascurando le altre due parti che all’analisi giuridica di fatto sono subordinate.

Scrive l’intersindacale:
“E’ innegabile che tutti i passaggi che hanno comportato le trasformazioni della figura professionale dell’infermiere siano sempre avvenuti per disposizione di legge. E non poteva essere altrimenti, proprio per il fatto che la salute è un diritto fondamentale dell'individuo sancito e garantito dalla Costituzione per cui le condizioni definitorie della tutela della salute devono essere stabilite dalla legge, sia perché devono corrispondere al punto di vista di tutti i cittadini, rappresentati dal Parlamento, sia perché devono essere uguali in tutto il territorio nazionale”.

Questa affermazione non è in realtà esatta. Per la precisione il primo mansionario delle “infermiere professionali” era un regio decreto e il secondo e ultimo mansionario un decreto del presidente della Repubblica. Non ci sono stati nel frattempo atti di normazione legislativa veri e propri quanto meno sulle condizioni di esercizio professionale.

Successivamente - penso sempre all’attribuzione di competenze – per quanto riguarda alcune norme derogatorie del mansionario e di conseguente ampliamento delle competenze si provvide con il DPR 27 marzo 1992 “Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza”. Non proprio quindi un atto legislativo e ancora dopo con lo strumento dell’Atto di intesa tra Stato e Regioni del 17 maggio 1996 sull’implementazione del sistema di triage di pronto soccorso e la sua attribuzione al personale infermieristico. Anche questa volta senza intervento legislativo ma con un atto di intesa tra stato e regioni si attribuì agli infermieri la funzione di triage (“Tale funzione è svolta da personale infermieristico adeguatamente formato, che opera secondo protocolli prestabiliti dal dirigente del servizio”).

A ben vedere l’unico atto legislativo è stata la legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” in cui si è riformata complessivamente la normativa sull’esercizio di tutte le professioni sanitarie e stabiliti “criteri guida” e “criteri limite”.

Per quanto concerne le figure professionali e i conseguenti profili è sempre stato il ministero della Salute a intervenire con proprio atto normativo dietro disposizioni di legge (legge 42/99 prima e 251/2000 dopo) che però non ha mai dato indicazioni puntuali allo stesso ministero. Si pensi che l’attuale profilo è determinato da un comma dell’art. 6 del D.Lgs 502/1992 che specificava che il ministro della Sanità doveva individuare “con proprio decreto le figure professionali da formare ed i relativi profili”. Il legislatore non si preoccupò di dettare neanche una cornice ma demandò totalmente al ministero i contenuti. D’altra parte una definizione del campo di attività di una figura professionale è del tutto impensabile che debba essere puntualizzato da grandi assemblee parlamentari. E’ più tipico della normazione secondaria.

La legge 42 stessa è costruita con dei rimandi ad atti di normazione regolamentare giuridica e deontologica. L’atto legislativo si limita al quadro complessivo i cui contenuti sono normazione di altri e non del legislatore stesso. Questo per quanto concerne i “criteri guida”. Non si rinvengono invece atti normativi di alcun tipo per “i criteri limite” delle “competenze previste per le professioni mediche” e delle altre professioni sanitarie. Qui il documento dell’intersindacale medica si fa necessariamente carente. Quando parla di professioni sanitarie e, segnatamente, della professione infermieristica sottolinea di come la regolamentazione debba essere prevista dalla legge anche per garantire il diritto alla salute dei cittadini, quando invece tratta della professione medica non cita leggi – che infatti non esistono – ma le individua in un “nucleo irriducibile di competenze riservate alla professione medica che debbono essere individuate nelle attività di diagnosi e di prescrizione terapeutica”. Questo è in gran parte vero – anche se con un’ampiezza decisamente inferiore rispetto al passato – ma non viene pressoché mai stabilito con legge. Curiosamente possiamo dire che le “competenze” previste per i medici siano riconducibili alla consuetudine, alla prassi, alla tradizione. Non vi sono atti normativi di carattere generale – se non di carattere secondario o su aspetti medico-specialistici che sono costruiti, però, come limite interno alla stessa professione medica – che regolamentano la professione medica.

Questo dimostra di come non corrisponda al vero l’assoluta necessità dell’intervento legislativo per regolamentare gli atti relativi alla tutela della salute in quanto per decenni non vi sono stati e una professione, quella medica, agisce a tutt’oggi senza problemi di legittimità in assenza di regolamentazione legislativa di carattere generale.
Tra l’altro la stessa legge 42 è costruita in modo tale da non rendere necessario l’intervento legislativo, ma solo l’intervento della normazione secondaria.

Sull’attuale ruolo da attribuire alle regioni sulle condizioni di esercizio professionale ricordiamo che l’art. 117 della Costituzione attribuisce alle regioni, come materia di legislazione concorrente, la disciplina delle “professioni”.

Il documento dell’Intersindacale medica poi pone delle preoccupazioni sul ruolo gestionale che verrebbero ad assumere gli infermieri.
Scrive l’intersindacale: "Alle rivendicazioni di autonomia infermieristica nella diagnosi, nella terapia, nella certificazione, si sono aggiunte ulteriori spinte verso l’autonomia nella gestione di Unità Operative Sanitarie Ospedaliere e Territoriali, che mirano ad abbandonare l’assistenza alla persona per transitare, di fatto, dal ruolo assistenziale a quello gestionale. E’ evidente, a chiunque abbia una minima esperienza di organizzazione sanitaria, che in questa prospettiva l’ampliamento di competenze professionali di molti prepari la implementazione di competenze gestionali, specie apicali, per pochi".

Trascuriamo la prima parte – più politica che giuridica – e concentriamoci sulla seconda parte relativa alla “spinta” verso la gestione.

L’Intersindacale paventa il rischio che a fronte dell’implementazione delle competenze (di molti) vi sia la spinta all’abbandono della parte clinico-assistenziale da parte di pochi per assumere competenze gestionali apicali. Le dirigenze sanitarie e, in particolare, le dirigenze infermieristiche sono da molti anni presenti nelle strutture. Più che un rischio è una situazione consolidata e prevista, questa sì, dalla legge (legge 251/200) da molti anni.

Qui, in realtà, il tono è tutto politico: la parte gestionale vista come “abbandono” della mission istituzionale evidentemente. Si parlerebbe mai così di un direttore sanitario come di colui che ha abbandonato la clinica, ovviamente con connotazione negativa in quanto la mission istituzionale del medico è clinica? Il ruolo gestionale apicale è necessariamente per “pochi”. La preoccupazione politica si mescola al dato giuridico, ricordando, nelle conclusioni che la figura apicale per eccellenza nelle strutture sanitarie è il direttore del dipartimento e citando il più confuso e inapplicabile articolo del D.Lgs 502/1992 che attribuisce al direttore del dipartimento anche la responsabilità professionale in materia “clinico-organizzativa”. Sono anni che si discute della incoerenza giuridica di un articolo che attribuirebbe, lo diciamo a mero titolo esemplificativo, la responsabilità clinica del dipartimento materno-infantile, a un pediatra anche per la parte ginecologica.

Le strade, lo avevamo già scritto il 19 gennaio, sono in realtà aperte a vari percorsi normativi e regolamentari. Da un punto di vista giuridico è indifferente la strada da seguire. In genere, in questi casi, per motivi di economia legislativa si segue la strada meno tortuosa.

Queste brevi note si concludono auspicando interventi giuridici meno legati al particulare da qualunque parte provengano come purtroppo siamo abituati a vedere spesso in questo paese.
Luca Benci
Giurista


pubblicato da: QUOTIDIANOSANITA'.IT






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