ASSENTEISTI, LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO – SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Riportiamo di seguito degli stralci di una
sentenza della Corte di Cassazione di pochi giorni fa relativa al ricorso di un
lavoratore licenziato. La Corte di Cassazione ha però stabilito che i
lavoratori che si assentano troppo spesso dal posto di lavoro possono essere
licenziati legittimamente, anche se il numero delle assenze non supera i giorni
di malattia consentiti dalla legge, sempre che si dimostri che il lavoratore
abbia erogato "una prestazione lavorativa non sufficiente e proficuamente
utilizzabile dall'azienda".
Decisione che sta creando non pochi tumulti!...E
se si estendesse il discorso anche al pubblico impiego? Quanti di noi hanno
colleghi fantasma?
Sentenza Corte di Cassazione - Sezione Lavoro 04.09.2014, n. 18678
Legislazione e dottrina
Sentenza Corte di Cassazione - Sezione
Lavoro 04.09.2014, n. 18678
Repubblica
Italiana
In nome del popolo
italiano
La Corte Suprema di
Cassazione - Sezione Lavoro
Composta dagli Ill.mi
Sigg.ri Magistrati:
Dott. Federico Roselli -
Presidente
Dott. Giuseppe Napoletano
- Consigliere
Dott. Umberto Berrino -
Consigliere
Dott. Rosa Arienzo -
Consigliere
Dott. Irene Tricomi - Rel.
Consigliere
Ha pronunciato la seguente
Sentenza
Sul ricorso 30765-2011
proposto da:
... già elettivamente
domiciliato in Roma, via ..., presso lo studio dell'avvocato ... giusta delega
in atti e da ultimo domiciliato presso la Cancelleria della Corte Suprema di
Cassazione;
- Ricorrente -
Contro
S.P.A. P.I. ...
- intimata -
Nonché da:
S.P.A. P.I. ... in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via
... presso lo studio dell'avvocato ..., rappresentata e difesa dall' avvocate
... giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente
incidentale -
contro
...;
- intimato -
avverso la sentenza n.
801/2011 della Corte d'Appello di L'Aquila, depositata il 07/09/2011 R.G.N.
1594/2010;
udita la relazione della
causa svolta nella pubblica udienza del 12/06/2014 dal consigliere Dott. Irene
Tricomi;
udito l'Avvocato ... ;
udito il P.M. in persona
del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carestia Antonietta, che ha concluso
per il rigetto del ricorso principale, assorbimento ricorso incidentale.
Svolgimento del fatto
1. La Corte d'Appello de
L'Aquila, con la sentenza n. 801/11, pronunciando sull'impugnazione proposta da
... nei confronti della società ... spa, avente ad oggetto la sentenza del
Tribunale di Vasto n. 335 dell' 11 gennaio 2011, la rigettava.
2. ... aveva adito il Tribunale
per sentir dichiarare l'illegittimità del licenziamento irrogatogli per
giustificato motivo oggettivo dalla suddetta società in data 10 novembre 2003,
con tutte le conseguenti statuizioni ripristinatorie e risarcitorie.
3. Per la cassazione della
sentenza resa in grado di appello ricorre il ... prospettando tre motivi di
ricorso.
4. La società ... spa
resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato relativo
all'inammissibilità dell'appello e quindi del ricorso per cassazione.
Motivi della decisione
Preliminarmente, va
disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la medesima
sentenza di appello.
1. Con il primo motivo di
ricorso è prospettato il vizio di difetto di motivazione della sentenza, per
insufficienza e contraddittorietà della stessa su un punto decisivo della
controversia, in relazione all'art. 360, n. 5.
Il ... censura la
statuizione della Corte d'Appello che ha ritenuto legittimo il licenziamento
per giustificato motivo soggettivo irrogato in ragione delle sistematiche
assenze del medesimo, "a macchia di leopardo", comunicate in limine,
con conseguente mancanza di continuità e proficuità, anche se non superiori al
periodo di comporto, da cui derivava una prestazione lavorativa non
sufficientemente e proficuamente utilizzabile da parte della società,
risultando la stessa inadeguata sotto il profilo produttivo, e pregiudizievole
per l'organizzazione aziendale.
Ad avviso del ricorrente,
il licenziamento può intervenire solo se viene superato il periodo di comporto,
circostanza non verificatasi nel caso di specie.
Peraltro, dalla
complessiva lettura degli atti processuali e della sentenza non sarebbe chiara
la ragione del licenziamento: giusta causa, o giustificato motivo oggettivo,
atteso il riferimento anche allo scarso rendimento.
2. Con il secondo motivo
di ricorso è prospettato il vizio di difetto di motivazione su un punto
decisivo della controversia, costituito dalla mera adesione alle conclusioni
dell'appellato senza tener conto delle contestazioni dell'appellante;
violazione di legge e dei principi dell'onere della prova ex art. 2697 cc, in
relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c..
La società resistente non
avrebbe offerto prova in ordine alla circostanza che le assenze avessero
causato problemi all'organizzazione produttiva, pur gravando sulla stessa il
relativo onere, tenuto conto, altresì, che la medesima società era organizzata
in modo da poter sostituire senza difficoltà un lavoratore per improvvisa
malattia, tanto che le assenze di esso ricorrente, come risultava dalla prova
per testi non avevano bloccato la produzione. Né era stato provato lo scarso
rendimento.
La sentenza della Corte
d'Appello sarebbe, altresì, affetta da vizio di motivazione rispetto
all'esistenza di inequivoci comportamenti discriminatori posti alla attenzione
della medesima (quali l'invio di lettera a chiarimento sulle assenze), e sui
quali non si era pronunciata affermando che esulassero dal giudizio, benché
esso ricorrente avesse posto in luce una successione di eventi che evidenziavano
la premeditazione del licenziamento.
3. Con il terzo motivo di
ricorso è dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione dell'art. 2110
cc, nonché dell'art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, anche in relazione
all'art. 32 Cost., con conseguente difetto di motivazione, in relazione
all'art. 360, n. 3 e 5, c.p.c.
Il lavoratore censura la
statuizione con la quale la Corte d'Appello ha affermato che l'eccessiva
morbilità, dovuta a reiterate assenze, anche se indipendente da colpevolezza
dello stesso, e nei limiti del periodo di tolleranza contemplato dalla
contrattazione collettiva, aveva integrato gli estremi dello scarso rendimento,
sicché la propria prestazione non si rilevava più utile per il datore di
lavoro.
Espone il ricorrente che
il licenziamento può intervenire solo nel caso di superamento del periodo di
comporto, anche quando la malattia non ha carattere unitario o continuativo.
Non poteva, quindi,
ritenersi il giustificato motivo oggettivo del licenziamento, non essendo,
inoltre, state provate le esigenze produttive e organizzative poste alla base
del recesso datoriale, che peraltro avrebbe richiesto, il cd. repechage.
Ai fini di una corretta
lettura delle vicende di causa il ... infine richiama la motivazione
dell'ordinanza del Tribunale di Vasto che aveva accolto il reclamo avverso il
rigetto del ricorso ex art. 700 c.p.c. avente ad oggetto la reintegra nel posto
di lavoro.
4. I tre motivi del
ricorso principale devono essere trattati congiuntamente. Gli stessi non sono
fondati e devono essere rigettati.
4.1. Le censure toccano,
sotto il profilo del vizio di motivazione e della violazione di legge, i
seguenti punti della statuizione della Corte d'Appello.
Mancata chiarezza nella
sentenza circa la causale del licenziamento per giustificato motivo soggettivo
o per giusta causa.
Illegittimità del
licenziamento per eccessiva morbilità.
Mancanza di prova delle
esigenze organizzative e produttive e dello scarso rendimento del lavoratore.
4.2. Va premesso che,
anche in sede di impugnazione, sarebbe ammissibile la conversione del
licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo
oggettivo, in quanto le dette causali del recesso datoriale costituiscono mere
qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la
cessazione del rapporto di lavoro, fermo restando l'immutabilità della
contestazione, e persistendo la volontà del datore di lavoro di risolvere il
rapporto (si cfr., Cass., n. 12884 del 2014). Tuttavia, nella specie, la
sentenza, in modo chiaro, e in più punti, afferma la legittimità del
licenziamento irrogato per giustificato motivo oggettivo, così qualificando
l'atto di recesso.
In particolare, sia nel
richiamare la prospettazione del ricorrente in appello: "l'appellante
censura l'impugnata sentenza addebitandole di aver erroneamente ritenuto
legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatogli",
sia nell'esporre le argomentazioni che fanno "giustificare il
provvedimento risolutorio per giustificato motivo oggettivo, anche sotto il
profilo della proporzionalità della sanzione irrogata", il giudice di
secondo grado qualifica come licenziamento per giustificato motivo oggettivo
l'atto di recesso.
Quindi, ritiene il
Collegio che la censura nella sostanza investa, in uno con le altre doglianze,
la mancanza delle condizioni per ritenere legittimo il recesso, così
qualificato, in ragione delle doglianze sopra esposte in sintesi.
4.3. Costituisce
giurisprudenza costante di questa Corte che la fattispecie di recesso del
datore di lavoro, per l'ipotesi di assenze determinate da malattia del
lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello
del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), è
soggetta alle regole dettate dall'art. 2110 cc, che prevalgono, per la loro
specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per
sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla
disciplina limitativa dei licenziamenti individuali.
Ne consegue che il datore
di lavoro, da un lato, non può recedere dal rapporto prima del superamento del
limite di tollerabilità dell'assenza (cosiddetto periodo di comporto), il quale
è predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in
difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e,
dall'altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di
legittimità del recesso, nel senso che non è necessaria la prova del
giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della
prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il
lavoratore a mansioni diverse (ex multis, Cass., n. 1861 del 2010).
4.4. Nella specie,
tuttavia, le assenze del lavoratore, dovute a malattia, vengono in rilievo
sotto un diverso profilo, per cui non può trovare applicazione la
giurisprudenza da ultimo richiamata, come, invece, dedotto dal ricorrente.
4.5. Per le modalità con
cui le assenze si verificavano, che, riportate in sentenza (per un numero
esiguo di giorni, due o tre, reiterate anche all'interno dello stesso mese, e
costantemente "agganciate" ai giorni di riposo del lavoratore - n.
520 ore nel 1999, n. 232 nel 2000, n. 168 nel 2001, n. 368 nel 2002, n. 248 nel
2003), non sono contestate dal lavoratore con l'odierno ricorso, le stesse,
infatti, davano luogo ad una prestazione lavorativa non sufficientemente e
proficuamente utilizzabile per la società, rivelandosi la stessa inadeguata
sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l'organizzazione aziendale
così da giustificare il provvedimento risolutorio (senza peraltro, come dedotto
dal lavoratore che la Corte d'appello facesse riferimento a motivi oggettivi).
4.6. Occorre ricordare
che, ai sensi dell''art. 3 della legge n. 604 del 1966 "il licenziamento
per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole
inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da
ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al
regolare funzionamento di essa".
4.7. La giurisprudenza di
questa Corte ha, poi, precisato che in tema di licenziamento per giustificato
motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive,
compete al giudice - che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di
gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica
tutelata dall'art. 41 Cost. - il controllo in ordine all'effettiva sussistenza
del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro
ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari,
l'effettività delle ragioni che giustificano l'operazione di riassetto (ex
multis, Cass., n, 7474 del 2012).
Ancora, si è affermato che
è legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento
qualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva
dell'attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati
dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione
dovuta dal dipendente - ed a lui imputabile - in conseguenza dell'enorme
sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il
lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto
riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di
attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una
soglia minima di produzione (Cass., n. 3876 del 2006).
4.8. La statuizione della
Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione, con congrua motivazione, dei
principi sopra enunciati.
È bene chiarire che per la
Corte d'Appello, la malattia non viene in rilievo di per sé, come si è già
detto, ma in quanto le assenze in questione, anche se incolpevoli, davano luogo
a scarso rendimento e rendevano la prestazione non più utile per il datore di
lavoro, incidendo negativamente sulla produzione aziendale.
Le stesse, infatti,
incidevano sulle esigenze di organizzazione e funzionamento dell'azienda, dando
luogo a scompensi organizzativi. Come risultava dalla istruttoria (testi
escussi colleghi de ...) le assenze comunicate all'ultimo momento determinavano
la difficoltà, proprio per i tempi particolarmente ristretti, di trovare un
sostituto, considerato, fra l'altro che il ... risultava assente proprio
allorché doveva effettuare il turno di fine settimana o il turno notturno, il
che causava ulteriore difficoltà nella sostituzione (oltre che malumori nei
colleghi che dovevano provvedere alla sostituzione), ciò anche in ragione del
verificarsi delle assenze "a macchia di leopardo".
Peraltro, questa è la
ratio decidendi della sentenza, mentre il richiamo alla mancata risposta alla
lettera con la quale si invitavano i dipendenti tra cui ... a dedurre in ordine
alle numerose assenze, non è posto dalla Corte d'Appello in relazione con il
licenziamento.
Priva di fondamento è,
dunque, la censura della non irrogabilità del licenziamento in presenza di
assenze per malattia che non superino il periodo di comporto, così come non
fondata è la censura che contesta la congruità del controllo effettuato dal
giudice di merito sulle ragioni del licenziamento, in ragione della motivazione
sopra richiamata della decisione impugnata.
Né viene in rilievo in
questo caso, per le sopra esposta causale del licenziamento, il cd.
"repechage", con il quale si esprime l'obbligazione posta a carico di
quest'ultimo di adibire il lavoratore licenziato in altre mansioni reperibili
in azienda di analogo livello professionale.
Il richiamo alle prove
testimoniali effettuato dal ricorrente (teste ...) è parziale e non consente di
verificarne la decisività, e si presenta meramente funzionale a sottoporre alla
Corte una propria ricostruzioni dei fatti sui quali si chiede un'inammissibile,
in sede di legittimità, valutazione di merito.
Quanto alle deduzioni
difensive volte a censurare l'inadeguatezza e la carenza della sentenza
impugnata rispetto all'esistenza di inequivoci comportamenti discriminatori,
occorre rilevare che il ... che non ricorre ex art. 360, n. 4, c.p.c., rinvia
all'atto di appello, non riportando i motivi dello stesso nel presente ricorso,
con conseguente difetto di autosufficienza della censura, e contesta in modo
generico la statuizione della Corte d'Appello circa l'esclusione dal thema
decidendum del presente giudizio della valenza persecutoria o discriminatoria
del licenziamento, fattispecie che avrebbe dovuto essere ricollegata ad una
diversa domanda, di accertamento di mobbing, risultando inammissibili le
censure.
5. Il ricorso deve essere
rigettato.
6. Al rigetto del ricorso
principale segue l'assorbimento del ricorso incidentale proposto in via
condizionata.
7. Le spese seguono la
soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale. Assorbito
l'incidentale. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che
liquida in euro cento per esborsi, oltre euro quattromila per compensi
professionali, oltre accessori di legge.
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