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La responsabilità dell’infermiere nelle procedure del cateterismo vescicale


In primo luogo vi è da domandarsi se tale attività sia da considerarsi o meno atto medico prescrittivo oppure no. Come è largamente noto compete all’infermiere – da disposto del profilo professionale ex art. 1 D.M. 14 febbraio 1994, n. 739 – l’individuazione dei bisogni di assistenza infermieristica della persona e la formulazione dei relativi obiettivi, mentre spetta a lui di “partecipa(re) alla identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività” senza la formulazione degli obiettivi. La differenza non è di poco conto: nel primo caso infatti una volta rilevato il bisogno, l’infermiere mette in atto autonomamente quanto di sua competenza per il relativo soddisfacimento, nel secondo caso invece agisce in collaborazione con altre professionalità. L’attuale situazione di non compiuta realizzazione dell’evoluzione normativa porta ad arrivare alla conclusione che trattasi di atto medico prescrittivo. Vi è da registrare una tendenza – in parte legata alle norme sull’esercizio professionale, in parte legata alla necessità di fare fronte alle esigenze sanitarie crescenti della popolazione anziana – di sviluppo di comportamenti flessibili non ancorati alla prescrizione medica laddove non strettamente necessaria. Senza timore di smentita dunque possiamo ipotizzare una liceità di comportamento nella mera sostituzione del presidio in un paziente cateterizzato in conformità ai protocolli adottati.
La prescrizione medica si palesa quindi necessaria – quanto meno sicuramente nella decisione del primo cateterismo - e al contempo rispettosa dell’agire professionale dell’infermiere. I livelli di dettaglio eccessivi rischiano quindi di invadere l’area infermieristica. La prescrizione medica soggiace ovviamente agli stessi criteri legislativi che riguardano l’infermiere e ogni altro professionista della salute, con particolare riferimento all’evidenza scientifica.
L’agire con evidenza scientifica non si configura solo come una nota di carattere metodologico. Ricordiamo infatti che può esserci responsabilità giuridica ai sensi dell’art. 40 del codice penale quando l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”, ovvero “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Vengono in mente i comportamenti contrari alla buona pratica professionale legati alla mancata antisepsi, alla non corretta gestione del presidio,all’utilizzo di presidi impropri (per dimensioni, per materiale), alla mancata corretta gestione del catetere a permanenza ecc. Gli esempi appena riportati sono appunto esemplificativi e non tassativi e indicano sia comportamenti indicanti un fare (commissivi appunto), sia comportanti un “non fare” (delle omissioni appunto).
Ricordiamo che Il catetere vescicale è un dispostiivo medico e il D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 “Attuazione della direttiva 93/42/CEE, concernente dispositivi medici” specifica all’art. 3 che i dispositivi medici devono essere “utilizzati in conformità alla loro destinazione” ponendo quindi un divieto per un uso operato in difformità. L’uso in difformità è concernente in particolar modo al mancato controllo della data di scadenza, alle indicazioni specifiche che particolari cateteri possono avere ecc. tali norme non sono superabili neanche in presenza di una prescrizione medica che affermi il contrario: si tratterebbe in questo caso di una prescrizione illegittima.
La dottrina giuridica2 ha avuto modo di affermare che sulla prevenzione delle infezioni il comportamento dell’infermiere risponde di: a) Violazione di regole precauzionali di condotta di carattere preventivo dovute più alle concrete azioni che sono in capo dalla direzione sanitaria e alla direzione aziendale che non al professionista clinico. si pensi alla non messa a disposizione di materiale idoneo;
b) Violazione di regole precauzionali di condotta di carattere preparatorio c) Violazione di regole precauzionali di condotta di carattere professionale. I punti sub b) e sub c) sono quelli che maggiormente riguardano l’infermiere clinico e sono concernenti comportamenti legati alla mancata asepsi e al mancato controllo delle date di scadenza.
La gestione del cateterismo e del paziente portatore di catetere vescicale si palesa quindi come un’attività a gestione infermieristica. Questo non significa affatto che spetti all’infermiere la gestione di ogni singolo atto ben potendo, una serie di atti, essere compiuti da terze persone. L’istituzione delle figure di supporto all’assistenza infermieristica – gli operatori socio sanitari – e la presenza di familiari e badanti (caregivers) che si prendono cura di paziente non autosufficienti portano ad attribuire singoli compiti specifici a figure non strettamente professionali.
Tali compiti necessitano, da parte dell’infermiere, di operare attività di formazione e di supervisione dell’operato – nei processi di inserimento degli operatori di supporto e nelle prime attività – di tali figure. Queste attività si concretizzano nel fornire le necessarie informazioni per la gestione del catetere vescicale durante l’assenza dell’infermiere, rimanendo in capo all’infermiere stesso la  responsabilità complessiva di un’attività che, ancorché medico-prescrittiva, si palesa chiaramente, come infermieristica. Le attività che gli operatori di supporto e i caregivers possono compiere sono quelle attività elementari che possono essere semplicemente apprese ed eseguite senza un necessario bagaglio di conoscenze professionali.
Discorso diverso e più ampio potrebbe essere fatto sulla pratica dell’autocateterismo. In questo caso non si pongono problemi legati alla legittimità dell’agire. Una costante giurisprudenza della Corte di cassazione ha da sempre sostenuto che l’esercizio abusivo di professione non si configura per gli atti compiuti verso se stessi. Il ruolo dell’infermiere rimane preminente nella fase dell’insegnamento, dell’educazione sanitaria, nella prevenzione delle infezioni e nella supervisione del paziente cateterizzato.
Il cateterismo infine– sia esso a intermittenza che a permanenza – è anche via di somministrazione di farmaci lecita per l’infermiere. Tale attività, palesemente specialistica, si configura comunque rientrante nell’agire infermieristico con una serie di cautele dettate dalla particolarità dei farmaci che in genere vengono utilizzati nelle instillazioni vescicali.

di Luca Benci
Giurista esperto di diritto delle professioni sanitarie

Fonte: inferweb.net








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