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Anche l'Infermiere Generico può fare il prelievo ematico in caso di urgenza


Cass. pen. Sez. VI, (ud. 16-12-2005) 17-01-2006, n. 1756
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente
Dott. SERPICO Francesco - Consigliere
Dott. GRAMENDOLA Francesco P. - Consigliere
Dott. COLLA Giorgio - Consigliere
Dott. ROSSI Agnello - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI TORINO;
nel procedimento nei confronti di:
O.M., n. a (OMISSIS) ((OMISSIS)) il (OMISSIS);
nei confronti della sentenza in data 7 febbraio 2005 della Corte d'Appello di Torino;
udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giorgio Colla;
udito il Procuratore Generale nella persona del Sostituto Dott. Santi Consolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell'imputata avv. Giorgio Scagliola.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe, la Corte d'appello di Torino, in totale riforma della sentenza del Tribunale di Mondovì in data 23 gennaio 2002, appellata da O.M., assolveva la stessa perchè il fatto non costituisce reato in ordine alla ipotesi criminosa di cui all'art. 348 c.p.. Con la pronuncia di primo grado, l'imputata era stata condannata alla pena di L. 600.000 di multa per il reato di abusivo esercizio di una professione, oltre che al risarcimento danni in favore delle costituite parti civili, per avere effettuato sulla persona di E.C. un prelievo ematico, pur essendo infermiera generica dell'Ospedale civile di (OMISSIS) ((OMISSIS)), non abilitata a tale tipo di prestazione sanitaria, che le era stata sollecitata urgentemente dalla figlia della E. (collega della O.), che aveva rappresentato una situazione di necessità (malore diabetico della madre). La Corte d'appello applicava nel caso di specie la scriminante dello stato di necessità nella forma putativa, in virtù delle seguenti considerazioni. I responsabili della A.S.L., in passato, si erano avvalsi della attività dell' O. per eseguire prelievi ematici, autorizzandola e anzi inducendola a tali prestazioni in supposta presenza di situazioni di emergenza (giuridicamente di stato necessità), salvo, poi, a causa dell'inasprimento dei rapporti tra le parti per una causa di lavoro intentata dalla O., denunciarla per il prelievo ematico che ha dato origine al presente giudizio. La Corte d'appello, quindi, dopo aver considerato che la stessa A.S.L. aveva autorizzato l' O. a effettuare simili prestazioni in casi in cui la stessa Azienda aveva reputato sussistere l'ipotesi dello stato di necessità, e pur rilevando che tali autorizzazioni non potevano avere effetti giuridici di alcun peso, e, in particolare non potevano avere alcun valore scriminante, osservava che il comportamento della A.S.L. aveva sicuramente influenzato lo stato soggettivo della imputata, la quale, nella concreta fattispecie, confrontando una situazione che le appariva come emergenziale al pari di altre situazioni in cui la stessa A.S.L. aveva ritenuto che si potesse in tal modo fronteggiare una impellente esigenza, ben aveva potuto ritenere esente da rilevanza penale il proprio comportamento nei confronti della E., presentatasi nell'occasione in stato di malessere diabetico e a digiuno prolungato, in considerazione della sussistenza delle condizioni concretanti l'esimente dello stato di necessità.
Con il ricorso per Cassazione, il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Torino deduce, con un primo motivo, l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale (artt. 54 e 59 c.p.), avendo mancato la Corte di valutare la sussistenza dei requisiti di cui alla norma dell'art. 54 c.p., e, con un secondo mezzo il difetto di motivazione, perchè, se negli altri casi la O. era stata autorizzata dalla datrice di lavoro a eseguire siffatte prestazioni, onde la situazione di sussistenza di uno stato putativo di necessità poteva avere una sua logica, nel caso era stato un privato a effettuare una simile richiesta.
La O. deposita memoria difensiva criticando le censure della Procura generale e osservando, sul primo motivo, che proprio la ritenuta scriminante putativa esonerasse la Corte da uno specifico esame delle singole cause di necessità, e sul secondo che la differenza di situazioni doveva ritenersi del tutto ininfluente, proprio per la mancanza di qualsiasi valore della autorizzazione del Presidente dell'Ospedale di (OMISSIS), il quale le aveva chiesto, anche per carenze organizzative dell'Ospedale, quel tipo di interventi cui, nella fattispecie, era seguita la denuncia penale.
Il ricorso del Procuratore generale è inammissibile.
La giurisprudenza di questa Corte, in tema di cause di giustificazione putative, è orientata nel senso che l'allegazione da parte dell'imputato dell'erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità (e in genere delle cause di giustificazione) non può basarsi su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, ma deve essere sostenuta da dati di fatto concreti, che siano tali da giustificare l'erroneo convincimento in capo all'imputato di trovarsi in tale situazione. (SEZ. 6, SENT. 00436 DEL 13/01/2005 (UD. 16/09/2004) Cuccovia RV. 230857; SEZ. 6, SENT. 28325 DEL 01/07/2003 (UD. 05/06/2003) Basso RV. 225761), con valutazione che deve essere necessariamente estesa a tutte le circostanze che possono avere avuto influenza effettiva sulla erronea supposizione, cioè su tutti gli elementi di fatto, oltre che delle modalità del singolo episodio in sè considerato, anche degli elementi antecedenti alla azione (SEZ. 1, SENT. 3200 DEL 12/4/2000 (UD. 17/02/2000), Tripodi, Rv. 215808).
Questo non significa, come vorrebbe il Procuratore generale, che il giudice del merito è tenuto ad accertare, punto per punto, la concreta sussistenza, nel caso singolo, di tutti gli elementi costitutivi della causa di giustificazione (perchè non vi sarebbe allora alcun bisogno di prevedere la figura putativa, essendo giustificabile solo quel comportamento che si realizzi nella presenza concreta e accertata di tutti gli estremi della scriminante), ma che occorre verificare se gli elementi oggettivi, cioè le circostanze dell'operare dell'agente, nella concreta situazione, siano tali da giustificare l'errore dello stesso, che ha creduto di trovarsi in presenza degli elementi costitutivi della causa di giustificazione, in realtà insussistenti (o non tutti sussistenti).
Ora, posto che da un punto di vista soggettivo (ma anche oggettivo) non può essere messa in discussione la convinzione della O. di poter effettuare prelievi ematici in situazioni di emergenza (considerati i solleciti dei superiori a comportarsi in tal modo in casi di urgenza), non v'è dubbio che la sentenza impugnata contenga una congrua e logica motivazione circa la sussistenza degli elementi che in concreto hanno potuto giustificare il comportamento dell' O. sotto il profilo della esistenza della scriminante putativa, motivazione compendiata nella presentazione in ospedale di una paziente malata di diabete, lungamente a digiuno, in una situazione di crisi che poteva ritenersi derivante da tale malattia e che andava affrontata - ragionevolmente - con tempestività e sollecitudine, a pena di gravi danni alla persona della madre della E., al punto di far evitare alla paziente una lunga fila per eseguire il prelievo da parte di personale abilitato, come già fatto in passato in situazioni identiche. Si tratta di una valutazione di circostanze di fatto adeguatamente e correttamente apprezzate, a fronte della quale la Corte di Cassazione non può sostituire una sua valutazione, per i noti limiti del sindacato del Giudice di legittimità.
Il secondo motivo è manifestamente infondato perchè, considerata la mancanza di abilitazione, il reato sarebbe comunque esistito (in assenza della ritenuta causa di giustificazione) sia a seguito di autorizzazione o ordine dei superiori, sia dietro richiesta del privato paziente.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2006


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