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Il dibattito sul ruolo delle infermiere che si trasformano in terapeute dell'amore


In Italia i disabili vogliono istituzionalizzare l'assistenza sessuale. Come avviene all'estero. Per l'esperta è «una necessità fisica e bisogna parlarne senza tabù».

di Antonietta Demurtas


La si può chiamare assistente o terapeuta sessuale «ma altro non è che una infermiera». Così Giuliana Proietti, sessuologa e psicoterapeuta commenta con Lettera43.it il dibattito che si è creato ancora una volta intorno alla possibilità di istituire una figura professionale addetta a soddisfare le esigenze fisiche dei disabili anche dal punto di vista sessuale.
5 MILA FIRME PER UNA PETIZIONE.Uno dei primi a porre la questione è stato Max Ulivieri, web designer con una grave disabilità, che ha lanciato una petizione online per istituire la figura dell'assistente sessuale. E in pochi mesi ha raccolto circa 5 mila adesioni. Un successo che, come ha precisato Ulivieri, «è solo un primo passo. Ora puntiamo a una normativa ad hoc in grado di venire incontro alle esigenze dei disabili anche dal punto di vista della sessualità».
Una questione che da anni viene messa sul tavolo delle istituzioni, ma ogni volta scivola sul piano del malizioso pettegolezzo: che linea di confine c'è tra il trattamento terapeutico e la prostituzione? È la domanda più frequente che divide l'opinione pubblica e davanti alla quale alla fine scatta la censura.
SESSO, TABÙ E DISCRIMINAZIONE. «Bisogna invece parlarne seriamente, senza tabù», dice Proietti. «In modo che il problema emerga in tutta la sua gravità: quella sessuale è una delle esigenze più basilari del nostro organismo, tanto che la procreazione è una delle funzioni principali, ma se continuiamo a considerare il sesso come una cosa sporca non faremo che aumentare la discriminazione».
Così si crea un divario invalicabile tra chi può soddisfare questa esigenza in maniera autonoma e chi invece per una disabilità ha per forza bisogno di un aiuto esterno.

L'assistente sessuale non è una prostituta

Proietti riporta così la discussione su un piano prettamente sanitario. E davanti a chi continua a definire l'assistente sessuale una prostituta invita alla riflessione. «Penso ci sia un labile confine tra questo tipo di infermiera e la prostituta», dice la sessuologa spiegando come l'infermiera in fondo acceda già in forma sanitaria alla sfera sessuale del paziente. «Se ragionassimo senza malizia», sottolinea, «capiremmo che non c'è tutta questa differenza tra mettere un catetere e fare una masturbazione, sono due funzioni sanitarie».
Senza cadere in una «falsa morale», basta pensare che fare sesso «è un'attività naturale che fa bene non solo a livello fisico ma anche psicologico, crea benessere, permette di scaricare le tensioni, di rilassarsi». Insomma è «una necessità fisica, che non è legata alla sola penetrazione, spesso a mancare è anche solo una carezza».
IL BISOGNO DEL CONTATTO FISICO. Proietti ricorda come «tutti noi appena nati veniamo messi tra le braccia della mamma perché abbiamo bisogno di un contatto fisico immediato». Una esigenza primaria che «non scompare mai e che ci portiamo dietro tutta la vita».
Per questo ogni essere umano cerca un contatto fisico con altre persone, «quindi perchè un disabile non dovrebbe averne bisogno? Eppure facciamo finta di non saperlo, di non vedere la realtà», ripete Proietti.
La sessualità «fa parte della nostra identità», aggiunge la sessuologa. «Permette di metterci in relazione con il mondo, chi non la pratica perché ha un limite fisico è tagliato fuori, escluso».
La terapeuta sessuale «non è quindi una figura erotica, ma utile», dice. «Non c'è niente di erotico nel cercare di soddisfare un'esigenza primaria e fisiologica di una persona che non ha gli strumenti per farlo da sola. Anche le persone malate hanno questa necessità: non si tratta di vizi».
DAL GIOCO EROTICO ALLA CAREZZA. «Chiediamo una terapia vera e propria, rivolta al benessere psico-fisico di persone che, per un motivo o per l'altro, si trovano a non essere autonome nell'espressione dei propri bisogni di tipo sessuale e, in senso lato, erotico-affettivi», spiega Ulivieri. «Persone che possono riscoprire il proprio corpo come fonte di piacere e non solo di sofferenza e di disagi quotidiani, attraverso il contatto, le carezze, il massaggio, gli abbracci, i giochi erotici o anche semplicemente la presenza, l'affetto e l'umanità».
Nei casi quindi in cui per una disabilità fisica la persona non sia capace di soddisfare in maniera autonoma questa esigenza, «è fondamentale potersi rivolgere a figure specifiche che abbiano una certa professionalità», dice la sessuologa. «A partire da una preparazione di tipo psicologico».
Bisogna inoltre «capire e conoscere le basi del linguaggio del corpo, non verbale, anche perché spesso per un disabile è difficile relazionarsi». Così come sono fondamentali almeno delle «nozioni base di biologia, anatomia e fisiologia».

Come funziona in Svizzera, Danimarca, Olanda, Svezia e Germania

Una figura formata e consapevole che all'estero esiste già da tempo «perché hanno avuto il coraggio di affrontare il problema», dice Proietti. «In Svizzera, Danimarca, Olanda, Svezia e Germania», ha ricordato Ulivieri, «ci sono associazioni che si occupano di questo tipo di assistenza. Addirittura in Olanda il servizio è a carico del sistema sanitario».
Si tratta di operatori volontari che hanno seguito dei corsi in ambito medico, sessuologico, etico e psicologico e che hanno sviluppato una grande sensibilità verso gli altri e un'apertura nei confronti della sessualità.
«Tempo fa all'estero conobbi la madre di un ragazzo down che si preoccupava della sessualità del figlio e cercava di capire se era il momento di ricorrere a questa figura», ricorda Giuliana Proietti. «Se lo facesse una madre italiana la considererebbero una pazza».
LA DOPPIA MORALE ITALIANA. Infatti qui l'assistenza sessuale è un'attività illegale. «In Italia c'è una doppia morale», denuncia Proietti: «Si fa ma non si dice. Ma tra le infermiere e le badanti sono sicura che ci sono persone che fanno anche queste cose».
Assistenti che non hanno rapporti completi con il paziente – la penetrazione e il sesso orale sono infatti esclusi anche nei Paesi dove è riconosciuta la figura – ma che svolgono una funzione sociale. «Meglio allora riconoscere il prima possibile questa figura, se fosse una professione sarebbe infatti più facile normarla, istituire un codice etico da rispettare, e che darebbe anche maggiori sicurezza alle famiglie che si rivolgono a queste persone per i loro cari», osserva Proietti.
IL COMING OUT DI DEBORA. In questi giorni Debora De Angelis, 31 anni, romana, ha raccontato all'Adnkronos Salute la sua esperienza come 'accarezzatrice' esperta. Una sorta di terapista del sesso che, in passato - ora sembra abbia smesso - ha aiutato tre ragazzi disabili. Un coming out che le potrebbe costare qualche problema legale visto che in Italia non è riconosciuta come professione.
«Una arretratezza non più tollerabile, bisogna parlarne perché il problema venga alla luce», dice la sessuologa. «Come per l'aborto e il divorzio che prima erano considerati dei tabù, anche questo deve essere una nuova conquista».
UN COMPITO DEL MINISTERO DELLA SALUTE. Basta guardare oltre confine «per capire che i tempi sono maturi anche per un Paese come il nostro dove la cultura cattolica tende a farci pensare che bisogna soffrire fino all'ultimo», dice Proietti.
Un problema che dovrebbe essere risolto «dal ministero della Sanità», suggerisce la sessuologa. «In fondo come cantava De Gregori in Generale in tempi di guerra anche i soldati si facevano «fare l'amore, l'amore delle infermiere»».



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