L'infermiere non è un badante dell'amore
L'articolo sul dibattito del ruolo delle infermiere che si trasformano in terapeute dell'amore di Antonietta Demurtas ha scatenato un'accesa discussione su Lettera43.it.
Pubblichiamo una lettera in risposta all'articolo uscito il 14 giugno 2013.
Immaginate di trovarvi in un pronto soccorso. Cosa vi aspettereste dall’infermiere che sta per assistervi?
Ecco cosa: lui-lei che si avvicina e vi chiama, pone domande, poi comincia a infilarvi aghi e cavetti elettrici dappertutto. Sa esattamente cosa fare, e mentre lo fa trova anche il tempo di sorridervi e rassicurarvi.
Vedete i suoi guanti sporchi di sangue, il vostro, muoversi veloci, aspirare liquidi nelle siringhe, appendere flebo, connettere cavi ai macchinari. Si sentono vari bip-bip.
Ecco cosa vi aspettereste di trovare (ammesso che siate coscienti in quel momento): un professionista affidabile ed esperto.
CURE ANCHE PER CHI È IMMOBILE NEL LETTO. E se vi trovaste immobilizzati su un letto, inabili a qualsiasi movimento, incapaci di esprimere qualunque bisogno, chi saprebbe prendersi cura di voi, anticipare le vostre necessità, prevenire danni peggiori al vostro stato di salute, farvi magari recuperare un qualche grado di autonomia? Chi sa manovrare un apparecchio per emodialisi? Chi sa curare con perizia ed esperienza ulcere di ogni tipo.
L’infermiere sa fare tutto questo, e molto altro ancora. E lo fa tutti i giorni, 24 ore al giorno. Ecco, l’infermiere è quel professionista che si occupa dell’assistenza alla persona nella sua integrità (e non solo della sua malattia), e fa questo dopo aver studiato per almeno tre intensi anni all’università, con migliaia di ore di tirocinio accanto ai colleghi esperti.
CODICE DEONTOLOGICO DEGLI INFERMIERI. L’operato degli infermieri italiani è regolato dal Profilo professionale, dal Codice deontologico e dagli Ordinamenti didattici universitari.
Il suo titolo professionale è universalmente riconosciuto. Questo per fare chiarezza a chi afferma che «si tratta di una professione in Italia ancora non riconosciuta come all'estero».
Quando un infermiere si appresta a eseguire una qualunque manovra sul corpo di un paziente, è guidato da una competenza tecnica che impone il massimo rispetto e delicatezza, soprattutto se la persona è incosciente o mentalmente alterata.
IN ITALIA PARLARE DI SESSO È ANCORA TABÙ. Come si fa ad affermare che «non c'è tutta questa differenza tra mettere un catetere e fare una masturbazione, sono due funzioni sanitarie». È vero che in Italia o comunque negli ambienti che risentono dell’influenza cattolica parlare di sesso è ancora tabù, ma sono sicura che in Paesi più liberali come l’Olanda, la questione delle prestazioni sessuali praticate sui diversamente abili da queste «professioniste» sia trattata con maggior serietà e con toni meno propagandistici. E di sicuro non vengono assimilate tali figure a quella dell’infermiere, come se non fosse chiaro il suo ruolo.
LA VISIONE PREISTORICA DELLE INFERMIERE. Di sicuro non è chiaro alla dottoressa Proietti e alla redazione di Lettera43.it, o quanto meno hanno tutti sorvolato sull’argomento senza approfondire.
Proietti prima dice che bisogna progredire e prendere esempio da Paesi più moderni, e poi suggerisce di tornare alla visione preistorica delle infermiere che «facevano l’amore ai soldati», che ho seri dubbi siano mai realmente esistite…
LA LETTERA APERTA DEL PRESIDENTE IPASVI. Il suggerimento della commentatrice Tiziana sul sito mi piace: «Se proprio vuole portare avanti la sua battaglia in questi termini, le suggerisco di coinvolgersi in prima persona ed espletare lei (o i suoi colleghi/e) queste pratiche che impropriamente vorrebbe indicare come sanitarie. Diversamente potremo pensare che tutto questo suo interesse sia giustificato non dal sostegno ai bisogni sessuali del disabile, ma solo per aumentare 'ambiti di lavoro' dei sessuologi, i quali entrerebbero nel Servizio sanitario nazionale quali 'consulenti che prescrivono attività che però altri faranno', replicando un vecchio modo tutto italiano di gestire la cosa pubblica».
Mentre sto scrivendo, mi arriva la notifica su Facebook che la nostra presidente dei collegi Ipasvi ha replicato con una lettera aperta all'articolo, forse il miglior riassunto del pensiero di tutti noi infermieri.
Silvia Corti
Fonte: lettera43
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