Responsabilità Penale Medico e Infermiere | SENTENZA Cass. Pen. n. 34845-10
Concorso di responsabilità penale del medico e dell’infermiere - Cass. Pen. n. 34845-10
La contestazione mossa agli imputati è quella di avere contribuito a cagionare la morte del paziente avendo il medico di reparto omesso di prestare la dovuta assistenza e l’infermiere omesso di avvisare il medico del peggioramento delle condizioni di salute del minore, nonostante le ripetute sollecitazioni al riguardo dei parenti (fatto del 27/10/03).
Il Tribunale di Agrigento, con sentenza del 31-10-03, ritiene entrambi responsabili del delitto loro ascritto (589 c.p.) e li condanna alla pena di un anno e due mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore dei genitori, posto a carico anche del R.C. Az. Osp., liquidato in 145.000,00 euro cadauno con riferimento al solo danno cosiddetto “morale”
La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza 16-3-09, conferma nella sostanza la decisione del giudici di primo grado.
Gli imputati (e l’Azienda Ospedaliera) propongono, quindi, ricorso in Cassazione sostenendo l’assenza della loro responsabilità penale in merito all’omicidio colposo in discussione.
I ricorrenti, in particolare, contestano che la causa della morte del bambino sia stata l’anossia anossica, prodotta da secrezioni di ogni genere che avrebbero invaso le vie aeree.
Il medico, inoltre, contesta di avere avuto l’obbligo di vigilare sui bambini che erano stati da poco sottoposti ad un intervento, se non sollecitato.
L’infermiere, a sua volta, contesta l’addebito di avere sottovalutato i sintomi presentati nella fase post-operatoria dal bambino, sintomi che, secondo la sua tesi, non erano tali da destare allarme.
Sostiene, inoltre, l’infermiere che non vi era una prova certa sull’incidenza causale del suo comportamento in relazione all’evento mortale verificatosi
La Cassazione rigetta tutti i ricorsi ritenendo lineare e chiaro il percorso seguito dai giudici di merito nella motivazione delle sentenze con le quali avevano affermato la sussistenza della penale responsabilità di entrambi gli imputati.
La Posizione del medico In relazione alla posizione del medico, ritiene la S.C. che “è pacifico che quel giorno gli fosse stata affidata la sorveglianza del decorso post-operatorio dei pazienti che, dopo avere subito un intervento chirurgico, erano stati trasportati in sala degenza”. Aggiunge la S.C. che correttamente i giudici d’appello avevano rilevato che “tale sorveglianza non poteva limitarsi ad una mera “reperibilità”, ma doveva concretizzarsi nell’effettuare ripetute visite in sala degenza per controllare la regolarità del decorso post-operatorio dei pazienti.” La Posizione dell’infermiere La Cassazione ricorda che la sentenza impugnata aveva evidenziato che i parenti del piccolo paziente, allarmati per le condizioni del bambino, «lo avevano più volte chiamato e lo avevano sollecitato a chiamare il medico, ma egli soltanto una volta si era avvicinato al letto, senza però visionare il vomito e senza neppure toccare il paziente che già presentava uno stato soporoso e difficoltà di respirazione». Aggiunge la S.C. che l’infermiere non aveva avvertito il medico, “pur assicurando i parenti del bambino di averlo fatto”. Aggiunge la Cassazione che la sentenza impugnata “evidenzia come i sintomi presentati dal bambino, quali la sonnolenza, vomito, sudorazione, che, isolatamente considerati, avrebbero potuto destare non eccessive preoccupazioni, si erano andati via via aggravando nelle due ore successive all’intervento, senza che l’infermiere si preoccupasse minimamente di avvertire il medico e senza che quest’ultimo, che pure si trovava in medicheria, poco lontano dal letto del paziente, facesse una visita di controllo al bambino, nonostante che i genitori allarmati sollecitassero continuamente l’infermiere affinché avvertisse il medico”. Con riferimento al “nesso di causalità” tra condotta degli imputati ed evento mortale, la S.C. rileva che, per colpa dei due sanitari, “l’intervento del medico c’è stato soltanto quando la situazione è precipitata a causa della grave crisi respiratoria che ha colpito il piccolo, determinata dall’ingresso nell’albero bronchiale di vomito ed accumuli di secrezione ematica che hanno ostruito progressivamente le vie respiratorie”. Sono state correttamente ritenute condivisibili le conclusioni dei periti “che hanno accertato che i sintomi presentati dal bambino dovevano essere tempestivamente valutati da un medico che doveva visionare il vomito scuro e accorgersi del pericolo che lo stesso prendesse la strada dell’apparato respiratorio anziché quella dell’esofago; e in questa situazione, avrebbe dovuto tempestivamente provvedere ad eliminare le secrezioni con l’aspiratore oppure provvedere a riportare subito il bambino in sala operatoria, ove non sarebbe decorso quel periodo di tempo fatale per il verificarsi dell’ipossia, a cui è collegato il decesso.” Se, infatti, l’infermiere avesse avvertito in tempo il medico o quest’ultimo avesse fatto di sua iniziativa una doverosa visita al paziente, sarebbe stato accertato e tempestivamente affrontato il grave rischio che correva il bambino, con quei giusti interventi che avrebbero potuto salvare la sua vita “con alto grado di probabilità logica”.
La Posizione del medico In relazione alla posizione del medico, ritiene la S.C. che “è pacifico che quel giorno gli fosse stata affidata la sorveglianza del decorso post-operatorio dei pazienti che, dopo avere subito un intervento chirurgico, erano stati trasportati in sala degenza”. Aggiunge la S.C. che correttamente i giudici d’appello avevano rilevato che “tale sorveglianza non poteva limitarsi ad una mera “reperibilità”, ma doveva concretizzarsi nell’effettuare ripetute visite in sala degenza per controllare la regolarità del decorso post-operatorio dei pazienti.” La Posizione dell’infermiere La Cassazione ricorda che la sentenza impugnata aveva evidenziato che i parenti del piccolo paziente, allarmati per le condizioni del bambino, «lo avevano più volte chiamato e lo avevano sollecitato a chiamare il medico, ma egli soltanto una volta si era avvicinato al letto, senza però visionare il vomito e senza neppure toccare il paziente che già presentava uno stato soporoso e difficoltà di respirazione». Aggiunge la S.C. che l’infermiere non aveva avvertito il medico, “pur assicurando i parenti del bambino di averlo fatto”. Aggiunge la Cassazione che la sentenza impugnata “evidenzia come i sintomi presentati dal bambino, quali la sonnolenza, vomito, sudorazione, che, isolatamente considerati, avrebbero potuto destare non eccessive preoccupazioni, si erano andati via via aggravando nelle due ore successive all’intervento, senza che l’infermiere si preoccupasse minimamente di avvertire il medico e senza che quest’ultimo, che pure si trovava in medicheria, poco lontano dal letto del paziente, facesse una visita di controllo al bambino, nonostante che i genitori allarmati sollecitassero continuamente l’infermiere affinché avvertisse il medico”. Con riferimento al “nesso di causalità” tra condotta degli imputati ed evento mortale, la S.C. rileva che, per colpa dei due sanitari, “l’intervento del medico c’è stato soltanto quando la situazione è precipitata a causa della grave crisi respiratoria che ha colpito il piccolo, determinata dall’ingresso nell’albero bronchiale di vomito ed accumuli di secrezione ematica che hanno ostruito progressivamente le vie respiratorie”. Sono state correttamente ritenute condivisibili le conclusioni dei periti “che hanno accertato che i sintomi presentati dal bambino dovevano essere tempestivamente valutati da un medico che doveva visionare il vomito scuro e accorgersi del pericolo che lo stesso prendesse la strada dell’apparato respiratorio anziché quella dell’esofago; e in questa situazione, avrebbe dovuto tempestivamente provvedere ad eliminare le secrezioni con l’aspiratore oppure provvedere a riportare subito il bambino in sala operatoria, ove non sarebbe decorso quel periodo di tempo fatale per il verificarsi dell’ipossia, a cui è collegato il decesso.” Se, infatti, l’infermiere avesse avvertito in tempo il medico o quest’ultimo avesse fatto di sua iniziativa una doverosa visita al paziente, sarebbe stato accertato e tempestivamente affrontato il grave rischio che correva il bambino, con quei giusti interventi che avrebbero potuto salvare la sua vita “con alto grado di probabilità logica”.
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