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L’infermiere ed il segreto professionale | A cura di Lorenzo D'Amico

Il segreto professionale è  “ciò che non deve essere divulgato e, in particolare, quel fatto o notizia che una persona vuole sottrarre alla conoscenza di altri”.

La conoscenza, in ambito sanitario, di notizie riservate, trasforma medici ed infermieri in contenitori di conoscenze e la rivelazione di esse violerebbe non solo norme giuridiche, ma causerebbe anche una rottura del rapporto di fiducia medico-infermiere-paziente.

Ai sensi dell’art. 622 del cod. pen.: “chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione od arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa ovvero lo impegna a proprio od altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad un anno o con la multa da euro 30 a euro 516. Il delitto è punibile a querela della persona offesa”.

Alla stregua del medico, l’infermiere è tenuto al rispetto della riservatezza nel trattamento dei dati personali del paziente e particolarmente dei dati sensibili inerenti la salute e la vita sessuale dei pazienti. Se medico od infermiere, o qualunque altro operatore sanitario, sollecitato dai familiari di un paziente, fornisse informazioni che potrebbero essere utilizzate nel corso di un procedimento giudiziario, sarebbe ravvisabile la violazione del suddetto articolo 622 (“…per altrui profitto…”).

Oltre a quanto già detto, vanno inoltre citate tutte quelle norme dedicate alla tutela della privacy:

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Legge 675/96 che definisce i dati sensibili come “i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, le adesioni ai partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico e sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante”.
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D.lgs. 196 del 30 giugno 2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali”.
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T.U. 1 gennaio 2004.

Occorre in proposito ricordare il provvedimento del Garante del 30 giugno 2004  con cui si autorizzano “gli esercenti le professioni sanitarie a trattare i dati idonei a rivelare lo stato di salute, qualora i dati e le operazioni siano indispensabili per tutelare l’incolumità fisica o la salute di un terzo o della collettività, ed il consenso non sia prestato o non possa essere prestato per effettiva irreperibilità”.

Per quanto riguarda invece le urgenze cliniche, che necessitino di interventi non procrastinabili, al medico (e quindi anche agli operatori sanitari compreso l’infermiere) è consentito il trattamento dei dati personali del paziente in assenza di consenso dell’interessato solo ed esclusivamente quando sussistano le specifiche ipotesi previste dalla legge, ovvero quando vi sia la necessità di salvaguardare la vita e la salute del paziente o di terzi nell’ipotesi in cui il paziente medesimo non sia in grado di prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire e/o di intendere e di volere.

Nello specifico vediamo il nostro Codice Deontologico nell’ultima stesura del 10 gennaio 2009:

Articolo 26

L'infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi all’assistito.

Nella raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita a ciò che è attinente

all’assistenza.

...

Articolo 28

L'infermiere rispetta il segreto professionale non solo per obbligo giuridico, ma per

intima convinzione e come espressione concreta del rapporto di fiducia con l'assistito.

http://salute24.ilsole24ore.com/files/cache/17600/nuovo_codice_infermieri.pdf

 

A cura di Lorenzo D’AMICO

(infermiere forense)

 


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